Mi aveva scritto una persona che non sentivo da molto tempo, mai incontrata
in realtà. Chiedeva se avessi voglia di incontrarci, per tentare in qualche
modo di conoscerci per davvero; l'avevo già sentita in passato, ma i pochi
tratti di lei che avevo potuto delinearmi nella mente non parevano attrarmi
troppo, così per tutto questo tempo avevo finito per ignorarla non pensandoci
più. Ora però mi aveva in qualche modo costretto alla risposta, ad una risposta
che quantomeno moralmente le dovevo.
"Ciao! Eh hai ragione, anzi scusami se sembra che io ti abbia
ignorato... Ho avuto abbastanza da fare, ma soprattutto ho avuto un po' di
confusione mentale ultimamente XD Vedi la realtà è che mi sembra sempre tutto
così squallido, quando si tratta di incontri pre-organizzati... mi sento come
la coscienza sporca, non capisco bene perché... come se non fossi il vero io,
quello che si reca all'appuntamento, ma un'ombra pallida di ciò che sono i miei
vizi più turpi che emergono, e si impossessano del mio corpo e della mia vita
contro la mia volontà. Sento come vergogna! Ma fosse davvero solo quello...
Quello in fondo c'è sempre stato, anche le altre volte, e bene o male è una
sensazione che ho sempre vinto, e poi con il tempo passava senza che nemmeno me
ne accorgessi troppo... Forse è per il fatto che abbiamo delle conoscenze
comuni, e questo mi spaventa un poco... Forse l'ingiusto pregiudizio di
scoprirti una persona superficiale, che magari non potrebbe comprendere certe
mie idee sul mondo... Come
vedi ho ancora confusione mentale su molte cose, e non vorrei coinvolgerti o
tanto più farti avere un'impressione sbagliata su di me incontrandoci... Però
tengo valido l'invito! Se anche tu sarai ancora disponibile, in futuro, per
incontrarci... : )"
Ero indeciso se premere Invio oppure cancellare tutto riformulando la
risposta in termini molto meno complessi. Alla fine optai per la prima opzione.
Molto probabilmente ho scritto queste cose più per la curiosità della sua
reazione che per un reale interesse verso ciò che nei fatti sarebbe potuto poi
seguire, come se volessi in qualche modo scandagliare la profondità che questa
persona poteva raggiungere. Già mi immaginavo una scena di tutto ciò. Seduti al
tavolino di un bar, la mia attenzione, dapprima distesa nella visione
dell'intera sua figura, che si contraeva progressivamente nella contemplazione
di un dettaglio... Una mano, la destra, così perfettamente contrapposta in modo
ideale alla mia sinistra... I piccoli fori dei peli che crescevano radi sulle
falangi delle dita, l'attaccatura arcuata e pallida delle unghie alla pelle,
tutto così particolarmente realizzato nella mia rappresentazione; le venature
nere di laidume tra le unghie e tra le morbide rughe delle nocche, testimoni
della fatica che quelle mani compivano ogni giorno... E la mia mano scorreva
delicatamente su di essa, in una carezza quasi più d'affetto verso la mia
capacità di rappresentarmi quella mano così reale, che verso la mano stessa. Mi
chiesi se davvero potesse capire, o se fosse una di quelle persone che ti
prendono per pazzo quando dici che il mondo in realtà è dentro di noi, perché
senza di noi non esisterebbe davvero.
All'improvviso mi venne in mente Vincenzo, con la sua suprema genuinità nel
vivere la vita istintivamente, fornendo ai sensi tutto il piacere che riesca a
dare loro, e la mano che stavo accarezzando d'un tratto era diventata la sua.
Mi chiesi se fosse rimasto fermo a lungo, lui, in quella situazione, o se
presto si sarebbe ritratto, annoiato dalla mia esteriore staticità. Nella
visione il rumorìo continuo della gente nel bar era svanito, e con esso il bar
stesso. Ci trovavamo in un salone dall'arredamento antico, e il battito
costante di un orologio scandiva il susseguirsi dei secondi, come a
rimproverarmi che stavo indugiando troppo, che la vita era lì e aspettava solo
me per essere vissuta. Lo sguardo di Vincenzo si era fatto eccitato, da
annoiato che era, e già non era più lui nella visione, ma stava svanendo
lasciandomi completamente solo. Forse lui l'aveva scoperto, il segreto per
congiungersi con il tutto. Ci avevo provato varie volte, io, a realizzare
quest' estasi panica, e il desiderio era diventato particolarmente
ossessionante da quando mi ero accostato alla poetica di D'Annunzio. Ma come
diavolo faceva certa gente? Come riuscivano ad abbandonare completamente la
loro essenza individuale, identificandosi in tutto e per tutto con l'universale
che è dietro ogni apparenza? Mi venne in mente l'ipotesi che fosse tutta una
grande menzogna, un semplice stratagemma letterario per poter creare della
buona poesia servendosi di un'illusione. Eppure questa spiegazione mi sapeva
molto di autoinganno, un tentativo disperato della mia mente per aggirare
l'ostacolo che non riusciva ad attraversare...
Tornai con il pensiero al punto di partenza. Ero ancora in compagnia della
prima persona, con la prima mano; questa volta, però, la accarezzavo in modo
diverso, più consapevole del fatto che probabilmente nessuno sarebbe stato in
grado di capirmi. E d'altra parte come sarebbe potuto succedere, se nemmeno io
ci riuscivo? Improvvisamente mi sentii pugnalato al cervello da una confusione
estrema. Pensai che sarebbe stato meglio provare a scriverne qualcosa, almeno
per cercare di mettere un po' di ordine nella testa. Immaginavo fatti, nella
mia mente, e nell'istante seguente ne immaginavo la loro scrittura. Stavo
vivendo un'opera letteraria nell'atto stesso della sua creazione.