domenica 26 febbraio 2012

La realtà delle visioni


Mi aveva scritto una persona che non sentivo da molto tempo, mai incontrata in realtà. Chiedeva se avessi voglia di incontrarci, per tentare in qualche modo di conoscerci per davvero; l'avevo già sentita in passato, ma i pochi tratti di lei che avevo potuto delinearmi nella mente non parevano attrarmi troppo, così per tutto questo tempo avevo finito per ignorarla non pensandoci più. Ora però mi aveva in qualche modo costretto alla risposta, ad una risposta che quantomeno moralmente le dovevo.

 

"Ciao! Eh hai ragione, anzi scusami se sembra che io ti abbia ignorato... Ho avuto abbastanza da fare, ma soprattutto ho avuto un po' di confusione mentale ultimamente XD Vedi la realtà è che mi sembra sempre tutto così squallido, quando si tratta di incontri pre-organizzati... mi sento come la coscienza sporca, non capisco bene perché... come se non fossi il vero io, quello che si reca all'appuntamento, ma un'ombra pallida di ciò che sono i miei vizi più turpi che emergono, e si impossessano del mio corpo e della mia vita contro la mia volontà. Sento come vergogna! Ma fosse davvero solo quello... Quello in fondo c'è sempre stato, anche le altre volte, e bene o male è una sensazione che ho sempre vinto, e poi con il tempo passava senza che nemmeno me ne accorgessi troppo... Forse è per il fatto che abbiamo delle conoscenze comuni, e questo mi spaventa un poco... Forse l'ingiusto pregiudizio di scoprirti una persona superficiale, che magari non potrebbe comprendere certe mie idee sul mondo... Come vedi ho ancora confusione mentale su molte cose, e non vorrei coinvolgerti o tanto più farti avere un'impressione sbagliata su di me incontrandoci... Però tengo valido l'invito! Se anche tu sarai ancora disponibile, in futuro, per incontrarci... : )"

 

Ero indeciso se premere Invio oppure cancellare tutto riformulando la risposta in termini molto meno complessi. Alla fine optai per la prima opzione. Molto probabilmente ho scritto queste cose più per la curiosità della sua reazione che per un reale interesse verso ciò che nei fatti sarebbe potuto poi seguire, come se volessi in qualche modo scandagliare la profondità che questa persona poteva raggiungere. Già mi immaginavo una scena di tutto ciò. Seduti al tavolino di un bar, la mia attenzione, dapprima distesa nella visione dell'intera sua figura, che si contraeva progressivamente nella contemplazione di un dettaglio... Una mano, la destra, così perfettamente contrapposta in modo ideale alla mia sinistra... I piccoli fori dei peli che crescevano radi sulle falangi delle dita, l'attaccatura arcuata e pallida delle unghie alla pelle, tutto così particolarmente realizzato nella mia rappresentazione; le venature nere di laidume tra le unghie e tra le morbide rughe delle nocche, testimoni della fatica che quelle mani compivano ogni giorno... E la mia mano scorreva delicatamente su di essa, in una carezza quasi più d'affetto verso la mia capacità di rappresentarmi quella mano così reale, che verso la mano stessa. Mi chiesi se davvero potesse capire, o se fosse una di quelle persone che ti prendono per pazzo quando dici che il mondo in realtà è dentro di noi, perché senza di noi non esisterebbe davvero.

All'improvviso mi venne in mente Vincenzo, con la sua suprema genuinità nel vivere la vita istintivamente, fornendo ai sensi tutto il piacere che riesca a dare loro, e la mano che stavo accarezzando d'un tratto era diventata la sua. Mi chiesi se fosse rimasto fermo a lungo, lui, in quella situazione, o se presto si sarebbe ritratto, annoiato dalla mia esteriore staticità. Nella visione il rumorìo continuo della gente nel bar era svanito, e con esso il bar stesso. Ci trovavamo in un salone dall'arredamento antico, e il battito costante di un orologio scandiva il susseguirsi dei secondi, come a rimproverarmi che stavo indugiando troppo, che la vita era lì e aspettava solo me per essere vissuta. Lo sguardo di Vincenzo si era fatto eccitato, da annoiato che era, e già non era più lui nella visione, ma stava svanendo lasciandomi completamente solo. Forse lui l'aveva scoperto, il segreto per congiungersi con il tutto. Ci avevo provato varie volte, io, a realizzare quest' estasi panica, e il desiderio era diventato particolarmente ossessionante da quando mi ero accostato alla poetica di D'Annunzio. Ma come diavolo faceva certa gente? Come riuscivano ad abbandonare completamente la loro essenza individuale, identificandosi in tutto e per tutto con l'universale che è dietro ogni apparenza? Mi venne in mente l'ipotesi che fosse tutta una grande menzogna, un semplice stratagemma letterario per poter creare della buona poesia servendosi di un'illusione. Eppure questa spiegazione mi sapeva molto di autoinganno, un tentativo disperato della mia mente per aggirare l'ostacolo che non riusciva ad attraversare...

Tornai con il pensiero al punto di partenza. Ero ancora in compagnia della prima persona, con la prima mano; questa volta, però, la accarezzavo in modo diverso, più consapevole del fatto che probabilmente nessuno sarebbe stato in grado di capirmi. E d'altra parte come sarebbe potuto succedere, se nemmeno io ci riuscivo? Improvvisamente mi sentii pugnalato al cervello da una confusione estrema. Pensai che sarebbe stato meglio provare a scriverne qualcosa, almeno per cercare di mettere un po' di ordine nella testa. Immaginavo fatti, nella mia mente, e nell'istante seguente ne immaginavo la loro scrittura. Stavo vivendo un'opera letteraria nell'atto stesso della sua creazione.

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